E’ VALIDA E LEGITTIMA LA CLAUSOLA CONTRATTUALE CHE OBBLIGA IL CONDUTTORE A RIMBORSARE LE IMPOSTE LOCALI.

E’ valida la clausola di un contratto di locazione, ad uso diverso da abitazione, che attribuisce al conduttore l’onere di farsi carico di ogni tassa.
La clausola con cui si prevede l’accollo non deve avere per oggetto direttamente il tributo, né mira a stabilire che esso debba essere pagato da soggetto diverso dal contribuente, ma riguarda una somma d’importo pari al tributo dovuto dal locatore avente la funzione di integrare il “prezzo” della locazione.

Tale principio di diritto è stato enunciato dalla Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite che, con la sentenza n. 6882/2019, ha risolto l’annoso contrasto giurisprudenziale sulla controversa questione della negoziabilità dell’obbligazione tributaria, offrendo un’interpretazione evolutiva e costituzionalmente orientata della norma.

La materia della traslazione dell’imposta è stata affrontata dalle Sezioni Unite in due diverse pronunce – emesse entrambe nel 1985 – che arrivano a conclusioni diametralmente opposte e che, negli anni, hanno avuto forti ripercussioni nel mondo giurisprudenziale e dottrinario.

La Sezioni Unite della Cassazione ha sentenziato che sono ritenute valide quelle clausole che siano dirette esclusivamente a riversare il peso dell’imposta su un soggetto diverso dal contribuente e non anche ad individuare un soggetto d’imposta passivo diverso rispetto al percettore del reddito.
In buona sostanza, il patto con cui taluno viene “scaricato” dal pagamento di un tributo gravante sul suo reddito figura quale pattuizione di carattere privatistico che non incide sul rapporto contribuente-fisco e, pertanto, lo si può ritenere nullo per l’illiceità della causa contraria all’ordine pubblico, solo quando esso comporti che effettivamente l’imposta non venga corrisposta al fisco dal percettore del reddito. Quest’ultima ipotesi, si verificherebbe, secondo i giudici di legittimità, solo nell’ipotesi di rivalsa facoltativa (vale a dire quando il sostituto perde la qualità tipica di mero anticipatore del tributo, non corrisposto al fisco) ma non anche nel caso di rivalsa obbligatoria ove l’imposta viene regolarmente pagata e l’obbligazione che impone l’accollo non ha per oggetto direttamente il tributo ma riguarda “una somma di importo pari al tributo dovuto e ha la funzione di integrare il <> della prestazione negoziale”.

Le Sezioni Unite hanno evidenziato come sia proprio la rivalsa a rendere “neutrale” la tassazione in testa al sostituto, “presentandosi come un credito del… medesimo verso il contribuente pari alla somma di cui egli e’ debitore verso il fisco (e che ha gia’ corrisposto)”, pervenendo quindi a concludere che “una pattuizione di esonero dalla rivalsa, se consentita, comporterebbe l’effetto di alterare immediatamente e direttamente il carico tributario perche’ il patrimonio del contribuente non verrebbe inciso, non verificandosi da parte sua quell’esborso verso il fisco che realizza il doveroso carico tributario e non presentandosi qui con effetto compensativo l’incremento tassabile che ne consegue poiche’ tale ulteriore tassazione non vale a ripristinare il vuoto contributivo da cui e’ conseguito l’aumento di reddito, non essendo omologhe le situazioni in raffronto”.

Occorre evidenziare, tuttavia, che vi sono particolare ipotesi che prevedono espressi divieti di traslazione da parte di specifiche norme tributarie (il D.P.R. n. 633 del 1972, articolo 18, sull’I.V.A.; il D.P.R. n. 643 del 1972, articolo 16, in tema di imposta sugli spettacoli; il D.P.R. n. 634 del 1972, articolo 60, in tema di imposta di registro; il D.P.R. n. 642 del 1972, articolo 23, in tema di imposta di bollo; il D.P.R. n. 600 del 1973, articoli 23, 24, 25, 25 bis, 26, 27 e 28, per le imposte dirette).

I requisiti che rendono valida la clausola di rimborso dell’imposta sono:
a) inclusione nel contratto;
b) mancata sottrazione del soggetto passivo dell’obbligo tributario.

Tale previsione contrattuale non ha per oggetto direttamente il tributo, né mira a stabilire che esso debba essere pagato da soggetto diverso dal contribuente, ma riguarda una somma di importo pari al tributo dovuto avente la funzione di integrare il “prezzo” della prestazione negoziale.

Le Sezioni Unite hanno concluso che il contratto di locazione oggetto della controversia aveva, sia pure con due distinte clausole, voluto determinare il canone locativo in due diverse componenti rappresentate l’una dalla parte espressamente qualificata come “canone locativo”, e l’altra come integrazione del canone di locazione, costituita dalla clausola di rimborso dell’imposta locale.

(D.Andreotti)