Per identificare un ente ecclesiastico si posso adottare due criteri, sono tali:
– gli enti che perseguono un fine di religione o di culto;
– gli enti che sono costituiti in forza di provvedimento canonico.
Sono enti ecclesiastici:
– Enti appartenenti alla costituzione gerarchica della Chiesa, quali la Conferenza Episcopale Italiana; le regioni ecclesiastiche; le province ecclesiastiche; le Diocesi; le Parrocchie; le Abbazie; Le Prelature;
– Istituti universitari; Seminari; Accademie; Collegi per religiosi ed ecclesiastici;
– Società di vita apostolica; Associazioni pubbliche di fedeli; Fondazioni; Istituti di sostentamento del clero;
-Altri enti costituiti o approvati dall’Autorità ecclesiastica.
La qualifica giuridica:
a) gli enti ecclesiastici sono persone giuridiche private dotate di autonomia speciale in considera- zione delle loro peculiarità, oggetto di specifica tutela dallo stato;
b) sono inquadrati nell’ampio genus degli Enti pubblici;
c) rappresentano un “tertium genus”, in base all’art. 4 della L. 222/85, poiché sono disciplinati da tale legge e, per quanto non previsto da questa, dal codice civile.
Nella Legge 222/85 é formulato espressamente il principio secondo il quale gli enti ecclesiastici fanno riferimento alle confessioni religiose per quanto concerne la loro costituzione, funzionamento ed il regime delle autorizzazioni, ma agiscono nell’ordinamento giuridico italiano secondo le regole del diritto italiano. Tale principio, dovuto dall’esigenza di contemperare l’esigenza di autonomia degli enti ecclesiastici e il rispetto di norme poste a tutela di interessi civilisticamente rilevanti, ha comportato l’obbligo di pubblicità nel Registro delle persone giuridiche degli enti ecclesiastici, di modo che si rendano riconoscibile ai terzi prescrizioni statutarie difformi rispetto ai principi del diritto canonico.
La legge 222/85 prevede la possibilità di riconoscimento, D.P.R. su proposta del Ministro dell’interno, per gli enti ecclesiastici costituiti o approvati dall’Autorità ecclesiastica a condizione che abbiano sede in Italia.
L’istruttoria spetta alle Prefetture.
Sotto il profilo giuridico la rappresentanza legale degli Enti della Chiesa cattolica, nonché degli Enti che fanno capo a confessioni che hanno stipulato intese con lo Stato, ex art. 8 Cost., è individuata dall’iscrizione nel registro delle persone giuridiche (art.6 ) mentre per gli altri enti che non possono o non vogliono ottenere il riconoscimento giuridico l’individuazione può essere più complessa.
Il diritto canonico riconosce la rappresentanza al Vescovo per la Diocesi, al Parroco per la Parrocchia e al Rettore per i Seminari. Negli altri casi, quali le Associazioni di fedeli o gli Istituti religiosi, non prevede i legale rappresentante, di conseguenza bisognerà rifarsi allo statuto.
Per gli enti ecclesiastici facenti parte della costituzione gerarchica della Chiesa lo Statuto é sostituito dal Decreto di erezione (che può essere integrato con dichiarazioni, contenenti ulteriori elementi costitutivi, da parte dell’Autorità ecclesiastica) dal quale risultano gli elementi essenziali quali la denominazione, la sede, natura ecc.
Per gli enti ecclesiastici privi di uno statuto, approvato agli effetti civili, la rappresentanza legale e la capacità giuridica deve essere dimostrata con un’attestazione del Vescovo diocesano (organo tutorio), se l’Ente ne dipende gerarchicamente, dal quale risultino gli elementi di funzionamento e di rappresentanza dell’Ente e l’autorizzazione a compiere atti negoziali.
La legislazione di derivazione concordataria in tema di enti ecclesiastici cattolici ha previsto espressamente la rilevanza civile dei controlli canonici sull’attività negoziale degli enti medesimi. Sorge la necessità di attivarsi per individuare se in concreto occorra, o meno, l’autorizzazione del Vescovo diocesano (licentia).
Il Vescovo diocesano.
La licentia occorre ogni qual volta che il valore commerciale del bene superi la somma stabilita dal diritto canonico (can. 1291), e cioè:
· dalla Santa Sede per gli enti di diritto universale;
· dalla Conferenza episcopale per gli enti nazionali.
E’richiesta la licentia della Santa Sede, prescindendo del tutto dal valore «venale» del bene oggetto dell’atto, per i cd. «ex voto», cioè di quei beni donati per via di una «grazia ricevuta», beni per lo più mobili, e quindi difficilmente interessanti l’attività notarile, e per l’alienazione dei beni «o di oggetti preziosi di interesse storico artistico».
Agli enti «dei religiosi», ovvero agli istituti di vita consacrata, alle società di vita apostolica, alle congregazioni la licentia del superiore competente è necessaria qualunque sia il valore dell’atto, ferma restando la obbligatorietà dell’autorizzazione della Santa Sede per gli importi superiori a 1.000.000,00 (can. 638, 3).
Per gli enti ecclesiastici non riconosciuti in persona giuridica, tale normativa opererà soltanto se il loro statuto faccia espresso riferimento alla normativa canonica, e sia stato pubblicizzato nelle forme di legge e quindi anche solo registrato.
Per i beni degli Istituti diocesani ed interdiocesani per il sostentamento del clero: se il loro valore eccede la somma di euro 3.000.000,00 devono essere offerti in prelazione in ordine di priorità, allo Stato, al Comune, all’Università degli studi, alla Regione alla Provincia, tramite la notifica della proposta contrattuale al Prefetto competente per territorio, ai sensi dell’art. 37 della legge 222/85. Il mancato rispetto del suddetto obbligo, implica la nullità dell’atto stipulato in violazione (art. 37, comma 9, legge 222/85). In tale caso occorrerà, quindi, menzionare in atto il mancato esercizio della prelazione.
Se oggetto dell’atto è un edificio di culto, ovvero una sua pertinenza, per la validità dell’atto occorre tenere presente che detti edifici costituiscono per diritto urbanistico «opere di urbanizzazione secondaria», e che quindi la loro realizzazione in difformità od in assenza di licenza edilizia, poteva essere sanata come «abusivismo di necessità». Sempre se oggetto dell’atto è un edificio di culto è bene ricordare che, ai sensi dell’art. 831 c.c., se risulta aperto al culto pubblico, la sua destinazione non può mutare neanche per effetto di alienazione.
Quando l’ente ecclesiastico acquista, è’ bene, però, allegare l’autorizzazione canonica, soprattutto per quei casi nei quali il pagamento del corrispettivo avvenga in modo dilazionato, o tramite l’accollo di un mutuo, oppure in «natura» (come nella permuta ove vi è anche una alienazione), così come nei negozi solutori come la dazione in pagamento.
Rimarrebbe, quindi, esclusa soltanto la vendita con corrispettivo pagato in contanti, senza dilazioni.
Natura giuridica della “licentia”del Vescovo diocesano.
E’ qualificabile come atto autorizzativo ovvero atto di controllo necessariamente preventivo; quindi la mancanza della “licentia” (qualora richiesta) impedirebbe il regolare sorgere del negozio compiuto.
Pertanto, gli atti di straordinaria amministrazione effettuati dagli enti ecclesiastici senza la relativa “licentia” devono ritenersi – per il diritto civile – “annullabili”, ex art. 1425 c.c, di conseguenza:
– sono pienamente efficaci;
– sono convalidabili (art. 1444 c.c. dall’ enti ecclesiastici con “licentia” ad hoc per la convalida);
– soggetti alla prescrizione quinquennale.
In definitiva, quindi, si propende per la invalidità dell’atto compiuto e non per la sua “inefficacia” poiché, quest’ ultima, si tradurrebbe in un rischio maggiore per il terzo contraente e per la certezza giuridica giuridica delle contrattazioni.
Occorre segnalare che la “licentia”, oltre ad essere necessaria per tutti gli atti di straordinaria amministrazione, è necessaria anche per quelle figure negoziali alternative al modo ordinario di formazione dell’accordo, quali il patto di opzione di vendita, il preliminare di vendita e la proposta irrevocabile di vendita.
Il negozio annullabile, essendo pienamente efficace fino all’eventuale impugnazione e annullamento, comporta che sarà necessaria la “licentia” anche per la semplice rinuncia al diritto di impugnazione e, ovviamente, per la transazione.
Ente ecclesiastico e impresa.
L’articolo 10, comma 7, del D.Lgs. 460/97 consente agli enti ecclesiastici riconosciuti dalle confessioni religiose con le quali lo Stato ha stipulato patti, accordi o intese, di acquisire la qualifica di ONLUS adeguando gli statuti all’articolo 10, comma 1, senza essere tenuti né a utilizzare la locuzione ONLUS, nella denominazione, né organizzarsi secondo criteri di democraticità.
Gli enti ecclesiastici riconosciuti, in quanto tali, sono stati già oggetto di verifica da parte dello Stato relativa allo scopo perseguito: il loro oggetto essenziale deve essere l’attività di religione o di culto che, di per sé, non é certamente un’attività commerciale. Quest’ultima, di conseguenza, non può che essere solo connessa o strumentale rispetto all’attività principale. Qualora così non fosse, l’ente ecclesiastico perderebbe la qualifica stessa di enti ecclesiastici ancora prima di poter parlare di perdita di qualifica di ente non commerciale.
L’ente ecclesiastico che svolge attività di impresa non é in alcun modo assimilabile alle società, poiché perseguirebbe il solo lucro oggettivo e non anche il cosiddetto lucro soggettivo che contraddistingue le società.
La partecipazione di un ente ecclesiastico al capitale sociale di una società commerciale non è vietata dall’ordinamento giuridico italiano, si pensi per esempio all’accettazione di un legato disposto dal de cuius a beneficio di una parrocchia a seguito della quale essa diventa socio in una società di capitali che svolge attività immobiliare, esercitando tutti i diritti conseguenti, percependo i dividendi.
Il Codice del Terzo settore interviene anche sugli enti ecclesiastici, ma questo è argomento speciale da trattare come tale, a parte.
Rag. D. Andreotti
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